Europa

Quattro cose da sapere sull’Unione

A cura di Laura Guglielmi, Tiziana Lanuti, Anna Benedetto, Anita Goti 

Bruxelles non è lontana: quello che l’Europa fa per noi (e non lo sappiamo)

Dalla telefonia ai diritti dei lavoratori, passando per le concessioni balneari e le lobby: viaggio nel cuore delle istituzioni europee per capire come e quanto le scelte dell’UE incidono sulla nostra vita quotidiana – anche quando ce ne dimentichiamo.

Bruxelles sembra lontana. Non tanto per i chilometri – poco più di mille da Genova o Firenze – ma per quel senso di distanza che spesso avvolge le istituzioni europee. Freddi palazzi, sigle incomprensibili, decisioni prese “altrove”. Poi capita di metterci piede e scoprire che, in realtà, quel “altrove” ci riguarda molto più da vicino di quanto pensiamo.

Dal 24 giugno al 5 luglio, con un gruppo di giornalisti toscani e liguri, siamo stati nella capitale belga per un’esperienza Erasmus+ dedicata proprio a questo: capire meglio come funziona l’Unione Europea e raccontarla con maggiore consapevolezza. Un’immersione nei luoghi dove si discutono e si decidono norme che finiscono – a volte senza clamore – per cambiare anche il nostro quotidiano.

Abbiamo incontrato europarlamentari italiani di orientamenti diversi: Brando Benifei (S&D), Salvatore De Meo (PPE) e Francesco Torselli (ECR). Confrontarci con loro – così come con i rappresentanti della EFFAT, la federazione sindacale europea che rappresenta milioni di lavoratori nei settori alimentare, agricolo e turistico – ci ha fatto toccare con mano un punto fondamentale: dietro ogni direttiva europea, c’è un intreccio di mediazione, ascolto, confronto. Non è un meccanismo perfetto, certo, ma è tutt’altro che distante.

Uno dei primi concetti da rimettere in discussione è proprio quello del compromesso. In Italia spesso lo leggiamo come una resa, un annacquamento. In Europa è, invece, la base per ogni decisione. Senza compromessi, nessuna norma riuscirebbe ad attraversare i confini di 27 Paesi con interessi spesso divergenti. È il compromesso che consente di trovare soluzioni comuni, realistiche, praticabili.

Altro tabù: le lobby. Da noi il termine fa subito pensare a manovre oscure. Ma a Bruxelles è routine: le lobby (o meglio, le attività di advocacy) servono a portare competenze tecniche ai legislatori, aiutandoli a orientarsi su temi complessi. Non si tratta di corruzione, ma di confronto regolato. Esiste un registro pubblico con nomi, budget, finalità. Più trasparente di così, difficile immaginarlo.

Ma ciò che colpisce davvero è quanto le decisioni prese lì influenzino la nostra vita senza che quasi ce ne accorgiamo. Il roaming gratuito? Europa. Il caricatore universale per i dispositivi? Europa. I rimborsi per i voli in ritardo? Ancora Europa. E si potrebbe andare avanti. 

Poi ci sono i casi più spinosi, come la direttiva Bolkestein sulle concessioni demaniali, recepita ma mai veramente applicata, che in Italia è diventata un terreno di battaglia politica. O la direttiva sul salario minimo, approvata a Bruxelles ma ancora in stand-by da noi, mentre nel frattempo resta materia di scontro ideologico.

Eppure qualcosa si muove. Secondo l’Eurobarometro pubblicato lo scorso dicembre, il 51% degli italiani si fida dell’UE, il 65% guarda con fiducia al suo futuro e ben il 69% valuta positivamente il piano NextGenerationEU. Numeri che raccontano un cambio di passo, una nuova curiosità. Ma anche un compito: raccontare l’Europa in modo più chiaro, meno filtrato.

Questo viaggio ci ha insegnato che l’Europa non è un’entità calata dall’alto. È una costruzione continua, imperfetta ma concreta. Un cantiere aperto dove, se vogliamo, possiamo portare idee, battaglie, visioni. Serve solo più conoscenza. E più onestà, anche nel modo di parlarne.

Alla fine, Bruxelles non è poi così lontana. Bisogna solo andarci una volta per capirlo davvero.